Questa città tirrenica, Centumcellae, nata attorno al porto fatto costruire dall’imperatore Traiano negli anni 106-108 d.C., è stata meta di prede e di contese e venne distrutta sette volte in varie epoche e per ben sette volte fu ricostruita!
I Pontefici Giulio II e Paolo III furono quelli che maggiormente contribuirono alla rinascita di Civitavecchia e gli abitanti cominciarono a godere realmente di tranquillità solo dopo l’ottocento.
La città venne ampliata, abbellita, munita di arsenale, fortificata e il porto naturale fu ricostruito sulle rovine di quello di Traiano. Alla pacifica gente di Leandro si aggiunsero tutte le famiglie immigrate dei commercianti limitrofi, quelle degli impiegati e alcuni ordini religiosi che si andavano formando, e che vi stabilirono poi i loro conventi.
Tutto questo insieme di persone, di dialetti, di usi e costumi, si fusero delineando così tratti di una popolazione buona, con l’animo generoso, dotata di un largo senso altruistico e largamente ospitale… OSPITALE.
Nel corso della seconda guerra mondiale la città subì più di ottanta bombardamenti aerei anglo-americani, che provocarono un numero di morti mai accertato e la distruzione pressoché totale della sua consistenza pre-bellica. Purtroppo la ricostruzione è stata poco rispettosa del patrimonio culturale ed architettonico che Civitavecchia aveva, dando origine ad alcune opere rozze ed inadeguate, facendo sparire alcune delle virtù tanto decantate da vecchi sonetti degli anni ’30 dello scorso secolo. Nonostante tutto però, Civitavecchia, grazie alla sua collocazione geografica, resta una città privilegiata da vari punti di vista ed in particolare da quello gastronomico. Avrei voluto dire enogastronomico , ma per quanto riguarda il vino, Civitavecchia ha sempre importato via mare, eccellenze come i vini d’Ischia e dell’Elba.
Durante il conflitto del 1943-44, i civitavecchiesi furono costretti a sfollare nei comuni vicini, in primo luogo a Tolfa e ad Allumiere, ed a condividere la vita quotidiana con gli abitanti del posto per oltre un anno e mezzo. Questo ha fatto si, che alla cultura gastronomica civitavecchiese, prevalentemente basta sui prodotti ittici, si aggiungessero quei prodotti che appartenevano alla vita contadina, come la selvaggina, cinghiale e ferlenghi.
Il prodotto ittico resta comunque il punto di forza della cucina locale, anche grazie al fondo marino, roccioso e variegato, dove è possibile esercitare sia la pesca da posta che quella a strascico. Un mare colonizzato dalla posidonia oceanica e ricco di iodio, donando così al prodotto ittico profumi e sapori molto apprezzati dai buongustai.
Il pesce è stato l’elemento unificatore delle diverse cucine regionali che a Civitavecchia hanno trovato un punto d’incontro e di fusione. Nominare Civitavecchia ha significato da sempre evocare un buon profumo di pesce, fama non usurpata che viene da lontano, infatti l’archeologia ha portato alla luce numerosi resti di antiche pescherie lungo tutto il litorale del compartimento marittimo civitavecchiese.
Non meno importanti e numerose sono le fonti letterarie che si perdono nelle nebbie del tempo. I memorialisti delle diverse epoche hanno lasciato numerose descrizioni di succulenti banchetti imbanditi a Civitavecchia, come ad esempio quello preparato nel 1957 in occasione della visita di Clemente VIII per la festa di santa Ferminia.
Poco più di un secolo dopo, nel 1711, al cardinale Renato Imperiali, che si recò a visitare la cappella di Sant’Agostino, sull’omonima spiaggia, venne offerta una colazione. Un testimone scrive
Vi lascio immaginare quanto il pranzo fosse squisito: era venerdì ed era stata richiesta l’opera di tutti i pescatori; venne servito tra l’altro un timballo di maccheroni cotti in un brodo di latte di mandorle, con zucchero, cannella in polvere, uva di Corinto, pistacchi del Levante, bucce di limone, e guarniti con le più delicate parte di Genova (un lontano antenato della Nociata che tutt’ora appare sulle tavole in occasione delle feste natalizie).
I menù così ricchi, non vanno però confusi con il pranzo quotidiano della famiglia civitavecchiese, pranzo che rassomigliava piuttosto alla razione giornaliera dei marinai imbarcati sulle galere. Del resto tutti i piatti tipici locali sono piatti poveri, a cominciare da quello più famoso, la zuppa di pesce, che viene preparata con la mazzumaja. Ed esistono ricette ancora più povere, come la zuppa di “pesce finto” (zuppa di pesce senza pesce) e la zuppa di “pesce sfuggito” (al posto del pesce si usava un sasso ricoperto di alghe raccolto nel mare). Anche l’usanza di condire la pasta, preparata sulla barca, con tutte le varietà di pescato, è indice di povertà e rappresenta il tentativo di diversificare il sapore del quotidiano e di dare più appetibilità ad un piatto ripetitivo (lo possiamo considerare una sorta di laboratorio gastronomico nato per esigenza). Balza evidente l’analogia con i contadini dei Monti della Tolfa, che approntano l’acquacotta con tutte le erbe coltivate e selvatiche raccolte nella giornata.
In tempi più recenti, Civitavecchia rappresentava il luogo preferito dai romani per le vacanze estive, dove ci si poteva ritemprare con un bagno (ai famosi bagni di Civitavecchia) ed un piatto di pesce fresco, immagine che ispirò la nota canzone di Ruccione e Bertini “Tutti ar mare”.
Purtroppo oggi la qualità delle materie lavorate dai nostri ristoratori ha avuto un declino vertiginoso, dovuto anche alla mancanza di turisti che non ritrovando più la splendida Civitavecchia di una volta, hanno rinunciato anche al pasto. Diverse organizzazioni hanno provato a riportare la ristorazione civitavecchiese ai vecchi livelli senza però ottenere grandi successi. Ora ci proviamo noi di CIVIFOOD . Partendo dalle tradizioni e dalla loro propagazione, con l’ausilio di mezzi come internet e di documenti eccezionali come quello da cui sono state tratte la maggioranza delle informazioni di quest’articolo (Breviario di Cucina CIVITAVECCHIESE di Carlo De Paolis), si cercherà di creare quella sinergia tra popolazione ed operatori del settore, essenziale per il rinvigorimento di un settore economico che da troppo tempo è in crisi. Ed in una città bella come Civitavecchia, nessuno di noi può permetterlo.
Si ringrazia l’Associazione Storica Civitavecchiese per l’aiuto inconsapevole che ci ha dato. Nel chiedere le tradizioni locali agli abitanti di Civitavecchia ho ricevuto le risposte più disparate e contraddittorie. Partecipando al Festival del Libro “Un mare di Lettere” ho scoperto che qualcuno aveva fatto un lavoro enorme per recuperare proprio quello che stavo cercando… la storia e le tradizioni civitavecchiesi dal punto di vista enogastronomico. Si ringrazia il Prof. Carlo De Paolis per aver dato un apporto enorme alla ricerca che stavamo facendo e alla tradizione civitavecchiese che corre sempre di più il rischio di essere dimenticata.
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